Lavaredo Ultra Trail 2016


Va bene: mi sono ritirato. Non ho portato a termine la Lavaredo Ultra Trail. I pensieri e le parole che mi girano in testa non sono positivi. Meglio non scrivere niente. Però, beccatevi queste bellissime immagini. No, dai. Qualcosa devo scrivere. E poi diciamocelo: quanto è bello passare sotto il traguardo? Come e quanto quell'attimo cancella da una parte ed eleva dall’altra tutto quello fatto, sudato e pensato precedentemente? Quindi, se sotto quel cazzo di traguardo non si ci passa?  Brucia, è frustrante. Ma non ci sono ragioni o scuse particolari, se non una fondamentale responsabilità: se stessi.

Breve disgressione: trovo che titolare positivamente, con facilità e superficialità devastante, i ritiri con i soliti epiteti 'bravo' o 'grande' sia fuorviante al pari di, per esempio, 'bravo che ci hai provato'. Il ritiro è una sconfitta sportiva. Deve essere interpretata come tale, non il contrario. Trovate un amico che v'insulti, per bene e con creatività.

La notte la cammino e la corro con un piacere e uno 'stato di benessere' godurioso. Assurdo: con il senno di poi, avrei preferito vomitare qualche gel. La luce arriva presto, proprio quando giungo al secondo ristoro. Dopo il primo, anche qui mi fermo lo stretto necessario e mi rimetto in cammino. Prima del lago di Misurina, lungo tratto fangoso. Ora si sale verso le tre cime: a metà incontro Pino. Al rifugio Auronzo banchettiamo insieme con minestrina e formaggio, dopo aver fatto la coda di quindici minuti per entrare: ma se il meteo fosse stato avverso?

Digeriamo la pastina nel mentre giriamo intorno alle grosse pietre e dopo una breve salita si apre un panorama magnifico. Poco più di 50 km e ora una lunga, lunghissima discesa. La prima parte è quella che mi condiziona e condizionerà, un errore banale, neanche da dilettante: ossessionato dalla possibilità che i piedi diventino il doppio di quelli quando sono partito, non stringo adeguatamente le scarpe e quando me ne accorgo è ovviamente troppo tardi. Niente ciocche, ma alluci completamente saltati. Mi merito il riconoscimento di Cretino Patrimonio dell'Umanità.

A metà, la discesa si fa più morbida ma il caldo aumenta a dismisura. I ruscelli che tagliano frequentemente il sentiero sono un toccasana, bevo e mi bagno con frequenza. Arrivo alla base di Cimabanche dopo qualche km su strada bianche che alla lunga snerva un po'. Sono, come facilmente intuibile, giù di morale. Mi ci vuole poco: chi mi conosce sa che la mia 'testa' non è un punto forte. Pino, arrivato poco prima di me, mi sprona e in qualche modo ci riesce. Recovery, cambio indumenti e parto. La salita successiva è tosta, costantemente ripida. Perdo terreno: non ce la faccio e getto la spugna. Arrivato alla forcella quando la mia testa è seduta nel giardino dell'hotel con una birra e salatini in mano.

Mi piace vincere facile, non ci sono dubbi. Quando non passi sotto il traguardo anche la visione della manifestazione ne è condizionata, sapete? E non c’é nulla di strano. La gara si svolge in un ambiente da leccarsi i baffi, più di alcuni e al pari di altri, comunque. La macchina organizzativa muove numeri importanti, i più alti in Italia. Quindi, qualcosa  può sfuggire ma preso atto della internazionalità riconosciuta e pubblicizzata, ci sono stati due aspetti organizzativi vissuti in prima persona che non mi sono andati giù. Ben inteso, peccati veniali ma degni di nota.

Nei primi due ristori non ho trovato pane/cracker, quindi per più di 30 km niente salato. Sono arrivato in ritardo e sono finiti o non ci sono mai stati? E' peggio la prima o la seconda ipotesi? Al cambio di Cimabanche, 66 km, dove tutti gli atleti hanno lasciato le proprie sacche con il ricambio, non c'era una sedia una o un tavolino! Tutti seduti per terra o sul prato come fosse una scampagnata. L'ultima è una considerazione personale che vorrei condividere, con un riferimento a più ampio raggio e non alla Lavaredo Ultra Trail.

Nell'ultimo tratto di questa gara, circa 10 km che si percorrevano tra i 2000 e i 2400 m di altezza, tanti concorrenti sono stati sorpresi da una piccola tempesta di pioggia e vento, tra l'altro non proprio imprevista. Non ha comunque creato disagio ne pericolo.

Una organizzazione di livello internazionale, ma anche una pro loco, deve prevedere uno o più percorsi alternativi da utilizzare anche in corso d'opera. Deve prevedere, senza timori e remore, anche di utilizzarli. Forse snaturerebbe troppo, sarebbe una scelta impopolare per chi vuole arrivare alla fine sul percorso originale ma ridurrebbe rischi altrimenti alti. Considerazioni che sono il preambolo per queste semplici domande: quanti organizzatori conoscono completamente il percorso nelle diverse situazioni meteorologiche? Quanto, anche loro, leggono e interpretano lo stato emotivo e fisico di un corridore in situazioni difficili dopo 100 km percorsi: in poche parole quanti hanno mai corso 100 e più km e sanno cosa si prova in quel momento su quel tratto?

Banalmente, per contro, si potrebbe affermare che ci sono arbitri internazionali di calcio che non hanno mai giocato, almeno ad alto livello, sul campo ad 11. Chi dirige e coordina può anche non conoscere certi aspetti? Servono e possono essere utili queste considerazioni? E no: la risposta 'Meno parole, più traguardi!' non è valida.