Districarsi nel traffico cittadino, in scooter o in macchina, accentua la sensazione che, per azioni altrui piuttosto che personali, qualcosa possa andare storto.
In un percorso, diverso da quello abituale, notavo come qualsiasi direzione si prenda, qualsiasi traguardo si vuole raggiungere, si può arrivare al semaforo successivo ad una velocità superiore a quella consentita, in un tempo minore a quello necessario. Poi ti fermi obbligatoriamente. Proporzionalmente alla cilindrata del mezzo, nel tragitto si consuma più benzina di quella che sarebbe stata necessaria e certamente più del vespista che poco prima si era superato e offeso.
Probabilmente, si arriverà a destinazione, ma senza un concreto vantaggio di tempo e/o risorse con, invece, il rischio reale ed elevato di fermarsi, definitivamente o anche solo temporaneamente: per una multa, per un incidente. Oppure di rallentare, per il traffico fisiologico o causa dei lavori in corso o ancora per una strada sbagliata. Spesso, anche per di eventi che non sempre si possono gestire, governare o solo prevedere.
Si può ridurre al massimo questo rischio andando piano. Apparentemente piano. Come in una ultramaratona.
Questa, è una banale metafora che mi sono voluto raccontare prima di correre il Morenic Trail. Un'azione di convincimento per partire piano, proseguire ancora più lentamente e portare a termine la gara. A conti fatti, sono stato persuasivo. Con viva soddisfazione ho percorso tutti i 115 km sull'anfiteatro morenico di Ivrea: il temuto percorso scorrevole e corribile non mi ha distrutto come temevo.
La giornata era iniziata bene: avevo dormito con piacere e la cagata mattutina è stata di quelle che ti mettono in pace con il mondo: - non mi fermerà nessuno! ho pensato a voce alta quando ho tirato la catena. Sembrano banalità per i comuni mortali. Per chi come me corre e si cimenta in distanze importanti, sono due aspetti f o n d a m e n t a l i !
Con mio fratello Fabio e il Grande Gino saliamo verso Andrate, paese di partenza. Controllo zaino, saluti e foto con gli amici e via! Dopo 200 m, da metà gruppo mi trovo in coda: questa volta senza ansia. Cammino la breve salita, poi piano piano inizio a correre la lunga e morbida discesa che dopo 14 km ci porterà al primo ristoro di Magnano. Prima di arrivarci, mi fermo per bisogno fisiologico e qualche altro concorrente mi supera. Credo di essere davvero l'ultimo. Mi volto indietro di tanto in tanto... e no: purtroppo ne vedo un altro che non mi precede.
Ora c'é il tratto più lungo prima d'incontrare un ristoro, un po' meno di 20 km. Il percorso, temuto per la sua monotonia, ancora non mi da fastidio, anche se i pensieri e le domande più bizzarre iniziano prendere forma. Nell'ordine penso a:
- comprare un'isola contiene-tutto per la cucina per mettere un po' di ordine;
- cambiare o no il PC da tavolo con uno portatile?
- ho voglia di mare, il prossimo anno DEVO andare in Corsica;
- Ad Ottobre ho tre giorni disponibili: meglio Venezia, Verona o Roma?
- Devo comprare dei nuovi asciugamani;
- Mi scappa di nuovo la cacca! Strano.
- cambiare o no il PC da tavolo con uno portatile?
- ho voglia di mare, il prossimo anno DEVO andare in Corsica;
- Ad Ottobre ho tre giorni disponibili: meglio Venezia, Verona o Roma?
- Devo comprare dei nuovi asciugamani;
- Mi scappa di nuovo la cacca! Strano.
Faccio due parole con una simpatica staffettista, per poco andiamo assieme, poi mi supera, la risupero e così via. Mio fratello mi viene incontro, arrivo a Masino insieme a Christoph Geiger: il più anziano finisher dell'UTMB 2015: è nato nel 1942. Sono andato piano io (troppo piano) oppure a buon ritmo lui? Siamo ben oltre i 40 km: il roadbook e i cartelli con le distanze trovati sul percorso non sono aggiornati: anche l'arrivo a Brosso è indicato a km 108 invece dei 113 dichiarati sul sito. Poco male, anche se le distanze diventano numeri ai quale aggrapparsi man mano che crescono: sono armi doppio taglio. Possono aiutarti, possono finirti.
Arrivo a Ponte Dora Baltea. Fabio e Francesco mi vengono incontro, non allarmandomi ma avvisandomi che il 'cancello' chiude tra un ora. Oddio! Mai avuto a che fare con queste 'paure', come le gestisco? Semplicemente: correndo. Chiedo informazioni sugli amici: Massimo e Stefano sono passati da circa una mezz'ora, mentre per Geo ricevo una risposta simil-fantozziana: - si dice si passato tre ore fa! Prendo il recovery e riparto subito. Le gambe stanno meglio: alterno corsa a camminata e raggiungo e supero qualche concorrente. 8 km dopo arrivo al ristoro di Candia, dopo la fastidiosa salita.
Bevo un brodo caldo e due cracker. Sono stanco, ma diversamente dalle altre volte 'ci sono'. Accendo frontale, carico gel e riparto al buio. Tempo di carburare e, come spesso accade dopo essere andato oltre il comfort abituale, rientro dalla crisi. Le gambe stanno bene e mi sento presente. Raggiungo due concorrenti con un buon passo. Mi accodo a loro. Per assurdo potrei anche avanzare: non sono dentro il Satori che Jurek decanta, sto ancora meglio: il Dio del Trail, che spesso Francesco invoca, si è impossessato di me. E' così protettivo che mi guida anche nella scelta di accodarmi e starmene buono.
Pochi km ed ecco il nuovo ristoro a Villate. Incontro Davide e MC, che mi aveva anticipato la presenza. Due parole che mi caricano ulteriormente. Mancano circa 40 km, non pochi: un altro volontario indica a tutti i concorrenti le luci che illuminano Brosso, l'arrivo: - guardate, laggiù! Farà bene? Riparto d'ignoranza, un po' di asfalto, bosco, ancora asfalto e arriviamo a Vialfré. Al ristoro non resisto più. Mi siedo, prendo l'ago e mi buco la ciocca. Il sollievo non sarà quello desiderato. Anche se il liquido è uscito, il piede brucia comunque. I compagni di questo ultimo tratto sono partiti da un po', bevo due bicchieri di té, due biscotti e via anche qui. Come scritto sto benone, parto a passo spedito , poi corro e li raggiungo.
Un po' di strada bianca, illuminata dalla luce della luna, quasi piena e che ogni tanto si fa strada tra le nuvole. Fellini e i suoi personaggio ci accolgono a Torre Canavese, quasi 90 km. Non trovo Fabio e Gino, che ho saputo poi essere arrivati poco dopo la mia ripartenza, ma per fortuna incontro Davide e MC che mi aiutano prima nella preparazione del recovery poi nel mettere un compeed sulla ciocca già bucata. Anche qui riparto bene.
Questa volta la ripartenza è devastante. Sono un robot: le gambe letteralmente bloccate. La salita successiva sarà l'ultima importante. Raggiungo i 100 km dopo 16 ore e mezza. Neanche molto per me. Il desiderio di restare sotto le 20 ore è ancora presente, anche se le speranze si affievoliscono. Non voglio diventi un lotta con il cronometro. Infatti continuo a prenderla piano e a non spingere neanche nella camminata. Beninteso: non riuscirei.
E' notte fonda. La testa c'é, ma ogni tanto si prende ferie. E quando lo fa si diverte. I rumori del bosco mi assordano. Le leggende del luogo descrivono animali umanizzati assai dispettosi. Fanno cadere i ricci di castagne per distrarmi e farmi trovare paura. Poi si nascondono dietro le pietre moventi: il loro fine è slacciarmi le scarpe e farmi imbelinare. Mi volto e guardo sin dove la luce della frontale illumina: non vedo niente. Eppure sono li.
Salgo in macchina bene, sorseggio la birra ghiacciata e felice mi faccio portare verso l'alloggio. Ho concluso i quasi 115 km dell'anfiteatro morenico, stanco e provato ma meno di quello che avrei creduto. Alla fine, è andato quasi tutto bene. Una prova, questa, non insuperabile, ma certamente impegnativa. Dalla mia, ho avuto il vantaggio di avere avuto assistenza ad ogni ristoro. Le temute ciocche mi hanno condizionato un bel po' negli ultimi 30 km. Ma in fondo, anche senza sarai arrivato al massimo mezz'ora prima. Certamente con meno dolori muscolari dovuto alla postura errata.
La strada verso l'UTMB, inizia da qui.