La corsa estrema


Hanno inventato molto, sfidato quasi tutto: il periplo completo del Monte Bianco, la 'circumnavigazione' della Valle D'Aosta, la cavalcata dall'Atlantico al Mediterraneo, la corsa nel Deserto, i 100 km all'Antartide.

Concepirne una nuova, più estrema, è alla portata di qualsiasi fantasia un po' razionale. Distanza e difficoltà non sono ingredienti rari, al contrario. Che cosa determina poi l'ostacolo è forse più dentro di noi che nello stesso.

Azioni e imprese realizzate da una distinta diversità umana che, come diceva il buon Marco Olmo, sono desiderosi di servire sul piatto ben decorato e composto il gesto sportivo ai colleghi e amici, ignari umani che vivono una quotidianità solo un po' più conformista.

Azioni e imprese non concepite da ragazzi e adolescenti. A quell'età i pensieri e le risorse sono, giustamente, rivolta ad altre priorità. Non sempre, però.

L'idea era tanto semplice quanto impossibile e perché no diabolica. Dovevo raggiungere un determinato allenamento fisico nel più breve tempo possibile: mi sarebbe servito il giorno stesso. Un allenamento dai benefici immediati era allo stesso tempo un'idea assurda quanto pura: libera da influenze e retaggi di ogni tipo. Un'idea che solo un bambino o un'adolescente poteva esprimere.

Misurai il pavimento della mia cameretta: cinque metri circa, dalla finestra all'interruttore della luce, posto accanto alla porta d'ingresso della stessa. Calcolai un indefinito target, che ipotizzai mi sarebbe stato fruttuoso per la corsa alla quale avrei partecipato alla sera, se non ricordo male circa 6,5 km per lo più sviluppati in salita su asfalto.

Era pomeriggio. Chiusi la porta: nessuno si doveva accorgere di questa bizzarra iniziativa. Me ne vergognavo, non sapevo se avesse senso o meno ma volevo provarla. Cento volte da un verso, cento dall'altro. Il tempo era scandito dal passaggio dal verde al rosso e viceversa del semaforo sotto casa che vedevo ogni volta che toccavo la finestra da un lato della cameretta.

Il dolore alla milza non si fece aspettare. Ero stanco. A quel tempo, a quell'età, non esisteva per me l'allenamento fisico. Conclusi l'impresa. Attesi l'arrivo del mio amico e di suo papà, ci dirigemmo verso la partenza della manifestazione. Tagliai il traguardo, con fatica.

Non ricordo altro, se non quella corsa estrema concepita e sviluppata in casa, nella mia cameretta, in un normale edificio cittadino. Una sola edizione, mai più ripetuta. E se ora, a distanza di anni, mi chiedo 'perché?', non riesco a rispondermi. Per fortuna, aggiungo.