Se volete leggere qualche pensiero sulla corsa, la Maratona di Firenze 2012, andate a fondo pagina. Se volete leggere anche altre cose, iniziate dalla prossima riga.
Sarà che sto leggendo, e attenzione: evento poco frequente, il libro di DFW, Una cosa divertente che non farò mai più, e di nuovo attenzione: non scrivo certo come lui, ma le mie riflessioni sono più che mai rivolte a quello che mi circonda, alle persone che mi circondano.
Di ritorno a casa, alla stazione di Firenze, mi colpiscono un paio di personaggi. Accanto a me è seduto un ragazzo con il suo mega-trolley. Si appresta a mangiare un panino di plastica comprato in uno dei bar di fronte a noi. Con la coda dell'occhio l'osservo: ha la faccia pulita, non da bravo ragazzo, da bravissimo. Un paio di signore, a distanza di pochi minuti, con marcato accento regionale, si avvicinano a noi. Entrambe, con mia sopresa, e senza ipocrisia: con mio piacere, mi evitano e chiedono soldi al mio vicino. Da copione declina, ma con estrema cordialità e gentilezza. Loro, le signore, mi guardano, forse chiedendosi se il caso di venire da me, investire il loro tempo senza successo. Perché, onestamente, nell'essere classiste sono peggio del sottoscritto. Potrebbero guadagnare bene e fare soldi facili e regolari con qualche reparto di marketing di qualsiasi azienda di servizi. Riescono con facilità, e ovviamente esperienza, a identificare le persone, i loro gusti, le loro disponibilità. Per come sono (siamo) vestiti, per piccoli gesti e movimenti. Capiscono con chi vale la pena provarci o chi è meglio evitare.
Con i compagni di avventura ci dirigiamo verso il binario dove partirà il nostro treno. Da distante noto un signore che getta il mozzicone della sigaretta, ancora acceso, nel cestino della spazzatura, composto solo da un sacchetto di plastica. Con altrettanta destrezza, dopo aver gettato il mozzicone, infila la mano come per riprenderlo, cosapevole della possibilità che il sacchetto e il suo contenuto prenda fuoco. E invece, estrae un biglietto del treno, forse appena gettato. Penso: guarda se ancora in corso di validità. Per riutilizzarlo e passare parte della sua giornata in giro sui treni stessi. Per a fare un giro nelle stazioni locali, osservando sconosciuti e luoghi diversi, sentendosi un po' meno solo. Lo immagino scendere qualche fermata avanti, con il rischio, calcolato, di tornare indietro senza biglietto e prendere un multa che poi chissà se pagherà mai. Sempre che un cestino altrove gli regali una nuovo biglietto.
Scendiamo dal treno regionale e saliamo sull'Intercity. Mi siedo nel posto assegnato. Automaticamente si crea un piccolo mondo, di durata limitata al viaggio stesso, dove si svolgono e prendono forma dinamiche e situazioni di vita. Guardo e osservo le persone. Le loro gesta, i loro tic. Sfumature che nel mio immaginario le descrivono e le danno una identità.
Un po' 'in forma', ma con un viso molto carino e piercing nel naso, una ragazza si siede proprio davanti a me. Non incrocia il mio sguardo, ne lo farà per tutto il viaggio se non quando, involontariarmente, le tiro un calcio per allungare le gambe, ancora provate dallo sforzo. Si addormenta quasi subito, o quanto meno cerca di dormire. Mi fa riflettere come, prima di addormentarci, quando dormiamo o appena ci svegliamo, siamo denudati da tutti i tratti che il nostro viso può raccontare. E' come fossimo tutti uguali, seppur diversi. Liberi da espressioni e definizioni.
In pochi metri quadrati, vivono diverse generazioni con i relativi contrasti. Accanto a me, un giovane dai capelli rosso carota legge i fumetti sul suo PC portatile. Sempre a portata di vista, dall'altra fila di sedili, una anziana ma vivace coppia di milanesi fa un trambusto degno di ragazzini. Il tutto per sistemare le borse, recuperare un paio di panini e soprattutto le carte da gioco. I fumetti sul PC e le carte da gioco: quanto e cosa ci sta in mezzo oltre ad un corridoio?
Nei sedili accanto un paio di signore anziane. Entrambe di età avanzata, non giovanili, ma eleganti e ben vestite. Le prima con tanti gioielli: orecchini e anelli portati con evidente vanto sta mangiando un panino. Il suo masticare è costante e ripetuto.
Avete mai osservato la gente che mangia? Rivelano molto, alla pari del nostro viso prima di addormetarci o quando dormiamo. Prima di lei mi era caduta l'attenzione, sul treno regionale utilizzato precedentemente, su uno straniero, asiatico. Teneva il panino con due mani, sempre vicino alla bocca. Un morso e diverse masticate, sempre a bocca spalancata. Era strano, però, il movimento della sua mascella. Dava un morso per strappare il boccone, chiudeva la bocca per masticarlo e poi la teneva aperta qualche decimo di secondo in più perché si notasse la pausa o meglio la - quasi - innaturalità del gesto. Una cadenza anomala.
La signora, dunque. Con calma si gusta il panino. E' garbata. Finito, piega la carta con precisione, senza buttarlo negli apposisti contenitori, ma nella sua borsa. Diventa un triangolo spesso, piegato come i sacchetti di plastica o dalla forma di un samosa, se vi piace di più. Neanche il tempo di deporlo nella borsa, che lo riprende e lo riapre. Penso ad un gesto ossessivo-compulsivo, presto svanito quando immediatamente tira fuori un arancio dall'altra borsa: userà la carta come tovaglia.
Anche la sua vicina di posto mangia. Anche lei uno dei pessimi panini venduti in stazione. E' incredibile come spesso, tutti, cadiamo in questo tranello. Sappiamo che questi maledetti panini non hanno gusto e sono cari per quello che offrono. Però, fanno parte del biglietto.
E' necessario mangiarlo, a volte anche quando non si ha fame. La Signora, quindi, mangia il suo panino. Sul tavolino davanti a lei, oltre al suo cellulare, anche il 'Libro delle Ore', raccolata cristiana di salmi, canti, eccetera, eccetera.
Anche io mi sono immaginato seduto davanti a me stesso. Quel giorno il viso era particolarmente scavato dalla stanchezza e con le occhiaie più scure che mai, che delineavano uno sguardo curioso ma finalmente sereno. Ogni tanto illuminato dal sole che invadeva la carrozza quando uscivamo dalle numerose gallerie della ferrovia ligure. Spesso sorrideva ad minchiam. A volte quando il finestrino regalava panorami dove il mare luccicava, immaginando quanche onda da cavalcare, altre quando una canzone che ascoltava con le cuffie, lo trasportava in una realtà virtuale e gloriosa: non primo a tagliare il traguardo. Ma festante e festeggiato. Accolto come si accoglie, perché no, il Presidente della Repubblica. Magari ti sta sulle balle, ma se lo vedi da vicino, vieni sotterrato sia dalla carica istituzionela che da un carisma non ben definito (oh! Sognavo ad occhi aperti: dovrò esagerare, no?).
Poi ci sarà stato certamente qualcun'altro, più attento e sensibile, che avrà visto uno stronzetto un po' troppo curioso.
Già, la corsa. Risultato e prestazione inaspettata. Poco allenamento specifico, anche se decisamente più preparato rispetto a quella corso all'inizio dell'anno a Roma. Con i due Grandi Vecchi ci si incontra in città. Neanche il tempo di salutarci e siamo già a mangiare. Pomeriggio di siesta, poi la serata passa velocemente tra aneddoti e pastasciutta. Firenze accoglie i numerosi maratoneti con una giornata velata e temperatura ideale. Appuntamento da Ponte Vecchio e poi verso la partenza li vicino.
Riusciamo a salutare Federico, che partirà prima di tutti con il gruppo di Maratonabili. Lamenta dolori e doloretti, ma riuscira a correre un bel po' di km con Michele. Io, il Vecio e il Grande Vecchio ci incolonniamo per raggiungere il cancello di entrata. Tanto casino. Per evitarlo, il Grande Vecchio s'imbuca in quello delle 3h - 3h30'. Noi proseguiamo verso quello di nostra competenza, l'ultimo. Caso vuole che calpestiamo i piedi ad Enrico. Ora siamo al completo. Poco tempo di attesa e si parte.
Tengo il freno tirato e i primi km mi servono a riscaldarmi. I primi 12 li corro con Enrico. Poi inizio a girare bene e aumento un poco. Al 18° incontro Mauro, che è andato a mille. Lo saluto e lo supero. Alla Mezza un cumulo di telecamere accerchiano il buon Renzi. Sto bene, aumento sempre di più. Non sono ritmi eccezionali, al contrario. Ma la gamba gira che è un piacere. Dal 25° al 35° è un crescendo. Qualche km lo corro anche sotto i 5', che, mi ripeto, per me è un buon ritmo. Sino al 37°/38° tutto bene. Un piao di soste toilette, una borraccia con Vitargo sino al 25° e 4 gel mi hanno aiutato e sostenuto. Ma di colpo il motore non è più seguito dalle gambe. Di colpo i quadricipiti iniziano ad urlare. Il ritmo cala. Nessun accenno di crampi, ma proseguo con difficoltà.
L'ultimo km mi sembra di pesare il doppio. Lungarno e poi svolta verso Santa Croce. Si passa sotto diversi 'gonfiabili', poi l'ultimo, quello del traguardo: testa in alto, occhi chiusi e braccia larghe. Ritiro medaglia, telo di sopravvivenza e via subito verso la base. 4h 2'55" il tempo finale.